lunedì 9 novembre 2015

Tempra o resilienza? Doti naturali del cane o qualità acquisite con l’esperienza?

Verso la fine del 18° secolo, il grande poeta e pittore William Blake pubblicò la raccolta d poesie “Songs of Innocence and of Experience”, Canzoni dell'Innocenza e dell'Esperienza: rappresentazione dei Due Stati Contrari dell'Anima Umana.
Possiamo pensare all’Innocenza come a doti genetiche e all’Esperienza come interazione del soggetto con l’ambiente.

La discussione su quanto dell’uomo e del cane sia innato o acquisito è attiva da qualche centinaio di anni, molto prima quindi di Facebook ;)

Senza entrare nei dettegli, per cui rimando a Wikipedia:
secondo l’Innatismo il soggetto nasce con conoscenze già al momento della nascita, secondo il Comportamentismo la mente del soggetto è al momento della nascita una “tabula rasa”, una “scatola nera” dove tutto viene creato attraverso l’interazione con il mondo secondo stimoli e risposte agli stimoli.

In epoca più recente molti studi si sono concentrati su questa tematica con risultati sorprendenti:

Il comportamento è influenzato sia dalla genetica, sia dall’ambiente:

Both Environment and Genetic Makeup Influence Behavior
Do Genes Influence Personality?

La selezione attraverso il comportamento produce modificazioni morfologiche oltre che caratteriali:

Russian Domesticated Red Fox

E infine, l'interazione con l’ambiente produce modificazioni neurologiche:

Neurobiology of Resilience

Quindi sembra che sia gli innatisti sia i comportamentisti abbiano ragione, la genetica influenza il compotamento e il comportamento influenza a sua volta la genetica; e del resto sembra che su tutti abbia ragione Darwin, secondo cui l’evoluzione premia il soggetto più adattabile alle condizioni ambientali.

Per tornare a Tempra e Resilienza, è quindi ragionevole pensare che il comportamento del cane sia derivato da una componente genetica, che possiamo definire “doti naturali” e una componente derivata da addestramento o comunque da conoscenze acquisite con l’esperienza e non innate.

Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: la maggior parte di noi è in grado, con il dovuto allenamento, di completare una maratona (42 km di corsa).
Un kenyano molto dotato per la corsa senza allenamento non potrà arrivare al 42° km.
In ogni caso, molto pochi sono in grado di vincere la maratona di New York.

Nei circa 15000 anni di collaborazione attiva con l’uomo, sono state selezionate razze di cani particolarmente adatti a fare un certo tipo di lavoro, per cui ora abbiamo cani da pastore, da caccia, da guardia, da combattimento, da compagnia…

Se tuttavia vogliamo un ottimo cane pastore che difenda il gregge dai lupi, un cane da guardia, un cane da mandare in battaglia a ricercare esplosivi, non possiamo prendere un qualsiasi cane: dobbiamo prendere un soggetto particolarmente predisposto e addestrarlo al meglio, perché senza un addestramento adeguato, non otterremmo mai i risultati desiderati, e senza un “campione naturale” non possiamo avere un “campione”.

Allo scopo di selezionare i cani più idonei a un certo tipo di lavoro, sono state create una serie di “prove di lavoro”, ovvero una serie di esercizi che un cane deve affrontare per dimostrare la corrispondenza delle sue doti con quelle espresse dallo standard di razza nonché il grado di addestramento raggiunto.

Tempra: la Tempra è un termine zootecnico per classificare la capacità del cane di sopportare stimoli esterni spiacevoli fisici o psicologici e si misura tramite apposite e specifiche prove di lavoro in: Molle, Scarsa, Media e Dura.

Resilienza: la Resilienza è un termine usato in psicologia per descrivere la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici

Sebbene i due termini sembrino simili, quello che li differenzia è il contesto a cui si riferiscono.

Ad esempio: un pastore tedesco con tempra dura abbandonato dal padrone e chiuso in canile non mangia più e si lascia morire (resilienza bassa).

Ad esempio: un border collie con tempra bassa può nello stesso canile vivere tranquillamente, farsi amici ed aspettare una nuova famiglia adottiva in serenità (alta resilienza).

Ricordiamo sempre Darwin: sopravvive il più adattabile all’ambiente, non il più forte.

Il concetto di resilienza diventa importante nelle situazioni “senza speranza”

I fan di Star Trek si ricorderanno sicuramente del test della Kobayashi Maru, ideato per mettere alla prova le capacità di comando e il carattere del cadetto. Il test non ha una soluzione possibile, serve solo per capire come reagisce un individuo in una situazione senza via di uscita.

Un essere vivente sotto minaccia (stress) ha tipicamente due possibili scelte: fuggire o combattere.
Se entrambe le possibilità sono precluse, il soggetto entra in crisi e si "congela".

Non potendo sopportare lo stress “senza speranza” il cervello si “collega o rimane cosciente ma è il corpo a non rispondere. Questo tipo di risposta è molto comune nei casi di violenza sessuale, o in caso di eventi naturali catastrofici.

Molti parlano di risposta “fuga, combattimento o congelamento”.

La resilienza entra in gioco proprio in queste situazioni dove scappare o combattere non è possibile: più si è resilienti, meno si attua la risposta di “congelamento” e si tenta una strada per fuggire o combattere.

Uno studio importante sulla’ “Impotenza appresa” è stato condotto nel 1967 dal dottor Seligman su gruppi di cani a cui è stata proposta una situazione di dolore “senza speranza”.
Nell’esperimento si sottopongono a shock elettrico cani divisi in 2 gruppi:
  1. i cani potevano premere una leva per far cessare le scariche elettriche
  2. i cani non potevano uscire e premere la leva non faceva cessare le scariche elettriche.
In seguito i cani venivano collocati in un box con le pareti basse e sempre sottoposti a scariche elettriche. I cani del 1° gruppo abbandonavano subito il box, gli altri rimanevano “congelati”


Questi cani non provavano a fuggire nemmeno se vedevano altri farlo, mettendo in crisi il modello di apprendimento per imitazione di Bandura.

Questa parte del test mette in crisi anche il modello di Skinner sul condizionamento operante, i soggetti non rispondevano come nella Skinner Box.

A questi cani, che avevano "imparato ad essere incapaci", veniva poi “insegnato” nuovamente a fuggire sollevandoli e facendoli uscire dal box. In qualche seduta di riabilitazione i cani tornavano “normali”.

Questo esperimento, sebbene veramente orribile nella sua realizzazione, ha rappresentato l’inizio di una serie di studi sulla depressione e sulle sue possibili terapie attraverso l’aumento della resilienza.
E' anche una grande critica ai modelli di apprendimento basati sul rinforzo (positivo o negativo) di Skinner e il modeling di Bandura.

Se il test sui cani vi è sembrato crudele e poco probabile, guardatevi questo ;)


Tempra e resilienza sono due modi di definire alcuni aspetti del carattere, per alcuni versi sovrapponibili, per altri difficilmente scambiabili, e dovrebbero essere usati nel giusto contesto.

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martedì 3 novembre 2015

Educazione e addestramento del cane: è giusto dire “no” al proprio cane?

Chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’educazione e all'addestramento del cane potrebbe rimanere disorientato dalle diverse metodologie proposte, spesso molto in contraddizione fra loro.
Un esempio fra i più comuni è l'uso del “no”: si può o si deve dire “no” al cane, o usare questa parola è controproducente ai fini educativi?


In realtà la diatriba è cominciata molto tempo fa e non riguardava i cani ma i bambini. Negli anni ’40 il dottor Benjamin Spock pubblicò il libro “Common Sense Book of Baby and Child Care” dove si asseriva che i comportamenti non desiderabili non dovessero essere puniti ma ignorati, i comportamenti desiderabili dovevano invece essere premiati o meglio “rinforzati” (rinforzo positivo).

Perché, secondo questa scuola di pensiero il “no” è controproducente?
  1. non dice al cane quello che si vuole da lui
  2. viene spesso detto in modo minaccioso e questo potrebbe spaventare o intimidire il cane
  3. quando usato come punizione, inibisce il cane dal mostrare qualsiasi comportamento
  4. viene detto tanto spesso che alla fina il cane la ignora
  5. rinforza il comportamento del cane quando è volto semplicemente a cercare attenzioni
E’ abbastanza facile capire che le ragioni non siano poi così senza senso come si potrebbe pensare in un primo momento, tuttavia proviamo ad immaginare un paio di scenari:
  • il cane sta per aggredire il figlio dei vicini
  • il cane sta per mangiare al parco un boccone presumibilmente avvelenato
E’ altrettanto facile da capire che certi comportamenti semplicemente non possono essere ignorati ;)

Facciamo innanzitutto chiarezza su cosa intendiamo con “no”.

“No” significa: "smetti di fare quello che stai facendo".

Come si può vedere, definito in questo modo, il “no” non contiene di per sé stesso connotazioni negative o intimidatorie, è un comando semplice al pari di “seduto”, “fermo” etc. Quindi, se usato in modo corretto, i punti 2 e 3 non dovrebbero presentare un problema, o eventualmente il problema siamo noi che non sappiamo come usare il comando “no”.

Un po’ di linguistica:

Referente - significante - significato

Le parole - grafismi o fonemi - rappresentano un significante, ovvero la forma che che rinvia a un contenuto, cioè al significato. Il referente è l'oggetto specifico a cui ci riferiamo:

Ad esempio: "per favore, dai da mangiare al gatto"

Significante: la parola "gatto"
Significato: il "gatto", animale a 4 zampe, orecchie a punta, coda che miagola
Referente: il mio "gatto" a cui devo dare da mangiare è bianco e marrone e si chiama Tino

Linguisticamente parlando quindi:

Il suono “no” corrisponde a una parola (significante) a cui diamo arbitrariamente il significato di “smetti di fare quello che stai facendo”.  Il referente entra in gioco nel momento in cui il "no" viene contestualizzato nella situazione specifica, ad es. il nostro cane sta abbaiando al gatto dei vicini e noi vogliamo che smetta.

Se noi carichiamo il significato del “no” di valenze negative, intimidatorie o minacciose, ad esempio dandogli l'intenzione di "scemo di un cane, se non la smetti di fare quello che stai facendo ti do un colpo sul sedere con un giornale arrotolato", rischiamo di dare messaggi confusi al cane; nel caso dei bocconi avvelenati, ad esempio, il cane concluderebbe che noi non vogliamo che mangi dei buonissimi bocconi, che non è quello che noi vogliamo comunicare, perché noi intendiamo che non vogliamo che mangi "quei bocconi, in quel momento" (referente).
Il risultato potrebbe essere che la prossima il cane cercherà di mangiarli velocemente o di nascosto per non essere sgridato, o che in soggetti particolarmente sensibili non voglia più mangiare in nostra presenza (per quanto sia difficile a credersi, provate a digitare "My dog is afraid to eat around me" su Google).

Spesso vedo accompagnare il “no” con una tirata di guinzaglio, intesa come (piccola) punizione; il nostro “no” perde il significato neutro che gli abbiamo attribuito in precedenza e il cane riceve messaggi confusi. Eventualmente il guinzaglio può servire ad attirare l'attenzione del cane se siamo in un ambiente rumoroso, come può essere una strada. Anche qui il significante può essere uguale, ma il significato molto diverso.

Se usiamo il "no" nel senso di "smetti di fare quello che stai facendo", il cane si ferma, ci guarda per capire cosa vogliamo da lui, noi lo richiamiamo e lo gratifichiamo con coccole, gioco, bocconcino secondo i gusti nostri e quelli del cane, il cane farà un'associazione positiva fra il comando "no" e un'esperienza piacevole, sarà quindi più propenso a ubbidirci in futuro.

Attenzione a come e quando si usa il “no”, con i cani (e con gli umani) !

Facciamo un gioco:

Stiamo parlando di cani, non pensate al barattolo di Nutella quasi finito nell’armadio in cucina!

Ci siete riusciti? O vi è venuta voglia di affondare il cucchiaio dentro quella deliziosa crema di nocciole e cacao prima che finisca?

La maggior parte dei messaggi pubblicitari vincenti si basa sui cosiddetti “comandi nascosti”; la cosa più affascinante è che la negazione non viene assolutamente considerato dal cervello umano, viene letteralmente cancellata.
La mente del cane è meno speculativa della nostra, ma i meccanismi non sono molto diversi: se il cane vede un bocconcino il suo cervello manda il segnale: “bocconcino bocconcino bocconcino…” se noi gli diciamo "non mangiare quel bocconcino" sarebbe come dire a Omer Simpson "Non bere l'ultima birra in frigorifero", il suo cervello manderà il messaggio: "hai sete, e c'è una birra in frigo" ;)

Il "no" non è una negazione: è un comando.

I comandi devono essere chiari e univoci; quando si dice "no" al cane pensate mentalmente "smetti di fare quello che stai facendo", potrete notare differenze nel tono a seconda di quello che pensate mentre dite quel "no". Gli attori chiamano questa tecnica "sottotesto" ed è molto efficace per indirizzare correttamente la comunicazione.

Per quanto riguarda il punto 1, "non dice al cane quello che si vuole da lui", con la definizione che abbiamo dato del “no”, il significato è chiarissimo: vogliamo che il cane smetta di fare quello che sta facendo ;)
Se il “no” è chiaro, il cane smette di fare quello che sta facendo e si mette in “stand-by” in attesa di nuovi comandi (ad esempio “vieni qui”).

Il punto 4, "viene detto tanto spesso che alla fina il cane la ignora", mi ricorda una lezione in un campo a cui ho assistito tempo fa: i “no” erano così frequenti che erano diventati un rumore di fondo... ma è veramente possibile che un cane non faccia niente di giusto per più di un’ora di seguito? ;)

Il sociologo Zygmunt Bauman ci mette in guardia: “Si potrebbe dire che la linea che separa un messaggio importante, l’oggetto apparente della comunicazione, dal rumore di fondo, suo dichiarato avversario ed ostacolo, è praticamente scomparsa “.

Se vogliamo comunicare in maniera efficace con il nostro cane, dobbiamo far sì che quello che vogliamo dire si differenzi dal rumore di fondo, e che non sia esso stesso un rumore di fondo ;)

Il punto 5, "rinforza il comportamento del cane quando è volto semplicemente a cercare attenzioni", è un discorso particolare, a volte i cani, come i bambini, adottano dei comportamenti (strategie) per attirare la nostra attenzione.

Un esempio (gioco) spesso citato in Analisi Transazionale: il bambino vuole attenzioni dalla mamma, attua una serie di comportamenti fra cui rubare la marmellata, la mamma sgrida il bambino perché ha rubato la marmellata dandogli attenzione: il bambino ottiene quanto desidera (attenzioni) ruberà quindi ancora la marmellata ;)

Ad esempio: ci fermiamo per strada a chiaccherare con amici, il nostro cane si stufa e abbaia, noi lo sgridiamo e gli diciamo "no"... il cane continuerà ad abbaiare ;)

Al di là di casi particolarmente problematici eventualmente da esaminare nello specifico, al nostro cane basta dare un po’ di attenzioni e i comportamenti indesiderati spariranno. Va da sé che le "attenzioni" sono da considerarsi da un punto di vista canino: se il cane vuole uscire a fare una passeggiata e noi gli facciamo le coccole, non funziona ;)

Perché il cane dovrebbe ubbidirci quando gli diciamo "no" ?

Se vogliamo che il “no” abbia un senso per il cane, è importante che il cane abbia fiducia in noi, così che pensi che se lo diciamo è per il suo bene, che alla fine ne avrà un beneficio.

E' anche importante che il cane abbia rispetto per noi, ci consideri una guida a cui fare riferimento.

Se connotiamo il “no” di valenze negative, il rispetto diventa paura e la paura fa allontanare il cane da noi, vedi: Educazione e addestramento del cane: il cane deve aver paura di noi?

Se comunque la parola "no", proprio non vi piace, potete usare il "Ah ah!" di Victoria Stillwell o se preferite Qo’ o Nirsh,  che significano "no" rispettivamente in Klingon e Vulcaniano, a De Saussure, che sottolineava come il linguaggio fosse arbitrario, sarebbe comunque piaciuto ;)

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mercoledì 21 ottobre 2015

Cani nel passeggino, col cappottino... I cani "piccoli" sono diversi da quelli "grandi" ?

E' importante ricordare che la distinzione tra cani piccoli e grandi è stata decisa dall'uomo e non dalla natura, infatti gli animali non sembrano notare la differenza di mole o di estetica.

https://instagram.com/miniandgina/

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La cosa realmente importante è l'energia che trasmette ogni soggetto, seguita dagli aspetti caratteriali riguardanti la razza e/o la tipologia e naturalmente l'unicità di ogni cane.

Il rispetto e la fiducia, alla base del rapporto che si instaura all'interno di ogni branco, o come amiamo chiamarlo noi famiglia, portano col tempo ad una comprensione uomo-animale che ci aiuta a regolare la vita di ogni giorno (e di conseguenza le esigenze del singolo).

Molte persone ancora si chiedono se sia realmente necessario far indossare vestiti al proprio amico a quattro zampe.

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Cercherò di rispondere alle varie domande che ognuno si potrebbe fare, elencando una serie di categorie a cui il vostro cane potrebbe o potrà in futuro appartenere.

Premesso che in inverno gli animali, soprattutto i cuccioli e gli anziani, non dovrebbero essere costantemente tenuti fuori, soprattutto la notte! I cani di taglia medio-piccola sono più freddolosi e disperdono più facilmente il calore corporeo, ma anche alcune razze di taglia grande, magari tosati (troppo o male) possono soffrire il freddo e i colpi di vento.

Naturalmente c'è anche chi veste il proprio cane per farlo sembrare più carino...in ogni caso il mio pensiero è: gli eccessi sono sempre sbagliati! Se avete un cane appartenente ad una delle categorie sotto elencate ed è una giornata piovosa o ventosa o semplicemente fredda, o per voi c'è un clima mite ma lui si rifugia sotto coperte e cuscini, non importa se indosserà una semplice maglietta, felpa o vestitino con balze e fiocchi, l'importante è che si riesca a muovere liberamente e che sia mantenuto ad una giusta temperatura. Anche dopo il "bagnetto", che di per sè non è un problema, per gli sbalzi di temperatura potrebbe diventarlo.

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Naturalmente questi sono consigli generali e bisogna valutare ogni singolo caso ogni volta che si presenta, ma capendo il linguaggio del nostro cane possiamo anche imparare a comprendere i segnali tipo "troppo caldo - troppo freddo".

Cuccioli & Anziani

Per i cuccioli ed i cani anziani può diventare un problema lo sbalzo di temperatura da dentro a fuori casa, dal giorno alla notte, dopo il bagno, ecc. Le correnti d'aria e il vento in generale possono compromettere la salute del tuo cane. Queste due categorie sono quelle a cui fare maggiore attenzione indipendentemente dalla razza e dalla dimensione. Naturalmente nei periodi più caldi avrete il problema opposto, quindi dovrete prendere gli appositi accorgimenti, soprattutto fuori casa, come utilizzare salviette rinfrescanti o giochi e copertine "rinfrescanti" (esistono quelli appositi da mettere in frigo ecc.)

Cani nudi, con pelo diradato, tosati

Non si dovrebbe mai tosare troppo un cane, in quanto la pelliccia rappresenta uno "strato di protezione termica" anche dal sole e dal calore, ma a volte capita: a casa o dal toelettatore, ai cani viene spesso tagliato troppo il pelo.
Esistono anche delle razze cui una caratteristica è l'assenza o quasi di sottopelo (es. Bolognese), l'assenza totale o quasi di pelo (es. Chinese Crested nudo) e anche dei gatti nudi (es. Sphynx). Anche con soggetti anziani dal pelo lungo, a volte si sceglie di tenere il pelo corto per facilitare la pulizia e non stressare l'animale.

Il problema, come sempre, restano gli eccessi: Non è giusto umanizzare i nostri cani, vestirli come bambole, portarli a spasso nel passeggino o tenerli sempre in braccio, né tantomeno non curarci di loro al punto di tenerli sempre in giardino o in cortile o addirittura legati ad una catena.

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Piccolo o grande, il cane resta il migliore amico dell'uomo, e come tale va rispettato. Le sue esigenze non vanno sottovalutate o messe da parte a seconda della taglia, ma soddisfatte. L'equilibrio è sottile, l'energia è importante: esercizio fisico, un po' di disciplina, una giusta dieta, qualche visita di controllo dal veterinario e qualche altro piccolo accorgimento basteranno per fare del vostro uno dei migliori amici che abbiate mai avuto.

Jessica Panizzut

Non solo cani: The rats family - un blog di Jessica Panizzut

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venerdì 9 ottobre 2015

L'aggressività del cane: può un cane aggressivo cambiare? Sicuramente non con psicofarmaci!

Scena: uno scorpione, una rana, un fiume

Scorpione: rana, mi accompagneresti al di là del fiume?
Rana: no, tu mi pungeresti e io morirei
Scorpione: sarei sciocco, se tu muori nel fiume muoio anch'io

La rana pensò che fosse logico e accompagnò lo scorpione; giunti in mezzo al fiume lo scorpione punse la rana.

Rana: ma perché lo hai fatto? Non è logico, adesso morirai anche tu!
Scorpione: lo so, non è logico, ma che ci vuoi fare? È la mia natura.

Da quando per la prima volta ho sentito questa storiella, mi sono sempre chiesto se per lo scorpione sia possibile cambiare la sua natura.

Parlando di cani, un cane "aggressivo" può cambiare?


Tanti nella storia della filosofia e della psicologia hanno parlato dell'aggressività:

Platone vede l'aggressività come cosa non negativa, se messa al servizio della ragione.

Aristotele ne parla a proposito del coraggio: i coraggiosi agiscono dunque spinti dal bello, e l'impetuosità collabora con loro, le bestie invece agiscono sotto la spinta del dolore: infatti reagiscono per il fatto di essere ferite o di avere paura [...]. Non vi è pertanto coraggio per il fatto che, spinte dal dolore e dall'impetuosità, muovono contro il pericolo, senza prevedere nessuna delle conseguenze terribili.

San Tommaso d'Aquino parla di un tipo di aggressività dovuto a "tristizia", un'ipotesi sorprendentemente simile alla teoria di Dollard secondo cui all'aggressività corrisponde una frustrazione.

Per Hobbes lo scopo dell'uomo è sopravvivere, e per natura l'uomo è quindi aggressivo.

Per Cartesio l’aggressività corrisponde alla collera che si scatena quando qualcuno subisce del male provocato da un altro individuo.

Anche per Nietzsche l’aggressività è un qualcosa di connaturato all’uomo. L’individuo sovente la dirige verso se stesso, generando una forma di autoconflittualità.  Solo il superuomo, secondo il filosofo tedesco, ha imparato a dirigerla fuori di sé, esplicitandola nelle azioni di guerra.

Secondo Sigmund Freud l'aggressività non è solo un'emozione o un comportamento, bensì è la manifestazione di una pulsione. La pulsione è l'espressione psichica di un bisogno che vive e si muove nell'inconscio condizionando le nostre scelte e i nostri comportamenti a causa della tensione generata dalla fonte somatica di questa eccitazione.
In un primo momento, l'aggressività è la reazione all'impossibilità di soddisfare una pulsione (tema come dicevamo approfondito da Dollard). Si tratta di una risposta primordiale che agisce sia a livello conscio, sia a livello inconscio.

E naturalmente non possiamo parlare di aggressività senza citare Lorenz, il padre dell'etologia:

Secondo Lorenz, l’aggressività nasce da un istinto endemico all’essere umano, ovvero una pulsione interiore che genera e dirige i suoi comportamenti aggressivi.

Tale forza interna è attivata da elementi ben precisi quali:

– la difesa di quello che si possiede a livello materiale, emotivo e affettivo;
– la lotta per il potere;
– il bisogno di rendere organizzato il proprio ambiente di vita.

Tutto questo si realizza con una finalità ben precisa che è quella di assicurare un futuro per sé e per coloro che condividono lo stesso patrimonio genetico.

Naturalmente ogni autore citato, e i tanti non citati, parlano dell'aggressività in base al loro periodo storico, sono pertanto da inquadrare nell'evoluzione dei modelli del pensiero occidentale.

Nel 1954 Abraham Maslow propose una gerarchia dei bisogni umani, la cosiddetta piramide di Maslow, molto usata nel marketing, intesa a superare il modello freudiano sviluppato da Lorenz:

- bisogni di sopravvivenza
- bisogni sociali
- bisogni di autorealizzazione

Questo schema si presta in modo sorprendente anche alla descrizione del comportamento del cane; evidentemente, le decine di migliaia di anni di collaborazione e convivenza dell'uomo e il cane hanno lasciato il segno ;)

Per approfondire: I bisogni del cane

Possiamo dire che l’aggressività si può sviluppare al fine di soddisfare un bisogno o per la frustrazione derivata dal mancato soddisfacimento di un bisogno.

A livello fenomenologico, indipendentemente dalle motivazioni o dalla eziologia del fenomeno, l'aggressività è un comportamento: in una certa circostanza, il soggetto attua un comportamento aggressivo, cioè mirato a fare del male fisicamente o psicologicamente o a minacciare di farne.

Se vogliamo riassumere in categorie i tipi di aggressività sopra descritti, troviamo due direzioni distinte e opposte:

Aggressività proattiva

Aggressività reattiva

L'Aggressività proattiva è finalizzata all'ottenimento di una risorsa o uno status.

È un comportamento generalmente razionale, mediato dalla ragione.

Ad. es. un leone uccide una gazzella per nutrirsene
Ad es. un branco di lupi aggredisce un altro branco per impadronirsi del territorio
Ad es. un cervo uccide o ferisce un rivale per il diritto all'accoppiamento

E può essere anche determinato da frustrazione:

Ad es. il cane dietro al cancello desidera un contatto sociale, il desiderio viene frustrato dalla presenza del cancello, il cane presenta un atteggiamento aggressivo nei confronti dei cani che vede passare attraverso le sbarre

Per approfondire: Perché il cane abbaia dietro al cancello?

L'Aggressività reattiva è finalizzata al liberarsi da una situazione temuta

È un comportamento generalmente irrazionale, derivante dalla paura e riferito ai bisogni di sopravvivenza.

Ad es. un'orsa ferisce un leone di montagna che si è avvicinato troppo ai suoi cuccioli
Ad es. un ippopotamo uccide un coccodrillo che entra nel suo territorio
Ad es. un gatto messo all'angolo da un cane, graffia il muso del cane

La situazione temuta può essere psicologica, percepita dal soggetto, e non necessariamente reale.

L'espressione del comportamento aggressivo non è quindi una proprietà legata all'individuo, ma è determinata dalla relazione fra il soggetto stesso e l'ambiente, o meglio la percezione che il soggetto ha dell'ambiente: il soggetto non "è aggressivo": in determinate circostanze e in relazione all'ambiente presenta un comportamento aggressivo.

La sconcertante moda di alcuni veterinari di prescrivere psicofarmaci SSRI in caso di episodi di aggressività del cane è paradossalmente un modo per aumentare l'aggressività stessa: i farmaci SSRI come la fluoxetina impediscono l'eliminazione della serotonina (l'ormone del buon umore) in caso di percezione di un pericolo (vero o presunto), ma non inibiscono la percezione del pericolo da parte del cervello il quale si trova nella condizione di sentirsi in pericolo, ma di non poter rispondere alla minaccia. Questo porta  il cervello ad aumentare la produzione di cortisolo (l'ormone dello stress) e quindi ad un aumento dell'aggressività.

Per approfondire: Psicofarmaci per cani: tante bugie, poca utilità, grandi rischi

Aggressività proattiva e reattiva non sono per definizione presenti nello stesso momento nello stesso individuo: sono di fatto l'uno il contrario dell'altro.
Possiamo disegnare un grafico in cui le direzioni dell'aggressività proattiva e reattiva vadano in direzioni opposte.


Questo grafico non si limita a a descrivere una situazione di aggressività, ma è di fatto la chiave per attenuare, gestire o eliminare il verificarsi del comportamento aggressivo.

Ad es. se un cane ha paura, possiamo aumentare la sua autostima stimolando la sua predatorietà, un predatore non ha infatti paura della preda
Ad es. Se un cane presenta un eccesso di predatorietà, possiamo reindirizzarla verso un’attività o uno sport come Utilità e Difesa, Disc Dog o altro. Come diceva Platone, l’aggressività non è necessariamente negativa, se messa al servizio della ragione ;)

Tornando alla domanda posta qui sopra: se pensiamo che il cane “sia” aggressivo (come lo scorpione della storiella), non possiamo cambiarlo; se pensiamo che il cane presenti un comportamento aggressivo (in base a determinate circostanze reali o percepite) possiamo lavorare per mutare la percezione delle condizioni ambientali del cane e quindi modificarne il comportamento.

La domanda per il comportamentista non è quindi "il cane può essere recuperato?", ma diventa: "sono in grado di recuperare il cane?"

Lo scorpione può allora cambiare (comportamento) e insieme alla rana attraversare il fiume.

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venerdì 25 settembre 2015

Educazione del cane e leadership: dal bocconcino alla collaborazione in armonia

Nel mondo dell’educazione e dell’addestramento cinofilo si discute spesso di leadership: dobbiamo essere capibranco, padri di famiglia, amici…

Un vero leader si riconosce subito ;)

Scegliere un tipo di leadership influenza anche la metodologia usata nell’educazione e nell’addestramento del cane.

Due metodologie che possono essere usate sono:

  • Leadership transazionale
  • Leadership trasformazionale

La leadership transazionale è basata su premi e punizioni, la vecchia “carota o bastone” dei modi di dire; per quanto vecchia, è ancora largamente utilizzata.

Il tipo di meccanismo è di tipo comportamentale e si rifà alle teorie di Skinner del secolo scorso (behaviorismo) . Ultimamente in psicologia la “Terapia cognitivo comportamentale” ne ha rivalutato alcuni aspetti adattandola alle nuove scoperte in ambito cognitivo; l’essere vivente non è una macchina ;)

Ci sono due modi di elargire ricompense e premi, e i due modi producono due tipi di risultati diversi; è importante non confonderli e usarli in modo appropriato.


La ricompensa non contingente

Il premio viene dato indipendentemente dal raggiungimento di certi obbiettivi.
Nella terapia cognitivo comportamentale viene usata tipicamente per evitare problemi comportamentali.

Ad esempio il cane si morde la coda in modo compulsivo, esprimendo un disagio di qualche tipo; la somministrazione di attenzioni e bocconcini indipendentemente dal verificarsi del comportamento “distrae” e mette più a suo agio il soggetto e rende più raro il verificarsi del comportamento.

La ricompensa contingente

Il premio viene dato al raggiungimento di un obbiettivo, di una performance o al verificarsi di un certo comportamento
E’ il metodo più efficace per migliorare la performance o raggiungere un certo obbiettivo o comportamento; migliora inoltre la soddisfazione e l’autostima del soggetto.

Ad esempio: se diamo un bocconcino al cane quando dà la zampa, il cane viene gratificato e tenderà a dare la zampa in modo più preciso e veloce. Attenzione che il cane tenderà a ripetere ed eventualmente perfezionare il comportamento perché il successo lo gratifica, non perché ha fame ;)

Per essere efficace occorre che la ricompensa dev’essere riconosciuta come tale.

ad esempio, se do al cane un bocconcino, ma il cane non ha fame, non gli piace quel bocconcino, non funziona. Il cane, come noi, si stufa se non viene stimolato in modo creativo.

ancora un esempio, se il cane è impegnato in un’attività (esperienza) per lui soddisfacente sarà difficile distrarlo con la prospettiva di una ricompensa; il cane da caccia che rincorre una lepre non smetterà di cacciare per la promessa di un bocconcino, per quanto prelibato.

Punizione contingente

Viene data una punizione al verificarsi di un certo comportamento o al mancato raggiungimento di un obbiettivo.

La punizione, per quanto meritata e/o accettata, suscita rancore, invidia, apatia e mancanza di collaborazione; questo è tipico negli ambienti di lavoro, e si può vedere anche lavorando con i cani. La punizione può portare a frustrazione che a sua volta apre la strada all'aggressività.

La punizione allontana il soggetto dalla situazione che diventa indesiderabile. La punizione può allontanare da noi il cane.

E’ anche difficile, più che per la ricompensa, associare nella mente del soggetto la punizione al giusto comportamento.

Ad esempio: il cane scappa e quando torna lo sgridiamo. Il cane associa la sensazione spiacevole al ritorno e tenderà a non tornare.

Ad esempio: il cane abbaia a un altro cane, lo strattoniamo e lo sgridiamo, il cane può associare la sensazione spiacevole agli altri cani e tenderà ad abbaiare con più convinzione quando ne vedrà uno.

In generale la punizione è molto difficile da utilizzare, e come abbiamo visto, anche la ricompensa ha dei limiti e non può sempre essere usata. Attenzione che la mancanza di premiazione è di fatto una punizione (negativa), e genera quindi gli stessi problemi.

Sicuramente il più grande limite del metodo della ricompensa contingente è che funziona se viene associata a un obbiettivo o un comportamento preciso. Se vogliamo motivare il cane a non essere un semplice esecutore di ordini, non possiamo considerare il cane una macchinetta a bocconcini.
Per coltivare una sana relazione con il cane, il bocconcino non è sufficiente.

La leadesrship trasformazionale pensa al leader come chi “ha il compito di identificare il cambiamento necessario, di creare una visione per guidare il cambiamento attraverso l'ispirazione, ed eseguendo il cambiamento insieme con i membri del team” (da Wikipedia).

Con la leadesrship trasformazionale viene data autonomia al soggetto per permettere la sua crescita personale, chi non raggiunge gli obbiettivi viene motivato a fare meglio piuttosto che punito o non ricompensato. La ricompensa è il raggiungimento stesso degli obbiettivi.

Traducendolo in termini cinofili, il cane si deve divertire, deve appassionarsi all’attività, e dev’essere legato al conduttore in una relazione che va oltre la distribuzione di bocconcini.
Dobbiamo partire da che cos'è il cane, e dalla storia del nostro cane  in particolare, la sua linea evolutiva, il suo carattere, e da lì dobbiamo iniziare a collaborare per costruire un percorso. Il cane ci segue perché ha fiducia in noi e ci rispetta come leader, e si aspetta che quello che faremo insieme sarà soddisfacente per entrambi.

Ad esempio, i cani che per centinaia di km trascinano una slitta nell'inverno artico per l'Iditarod, non lo fanno certamente perché poi hanno un bocconcino ;)

Ad esempio, gli springer spaniel non stanano le beccacce in mezzo a cespugli e rovi perché poi hanno un premio, lo fanno perché si divertono tantissimo a farlo


Ad esempio, i retriever riportano anatre cadute in mezzo al lago perché a loro piace tantissimo

Quindi come possiamo relazionarci col cane nel modo migliore?

In realtà quanto esposto qui sopra sono dei modelli, degli strumenti che possiamo utilizzare per migliorare la vita col nostro cane o per raggiungere risultati di tipo comportamentale, agonistico o per risolvere qualche problema.

Molto dipende dagli obbiettivi che ci proponiamo: per i problemi comportamentali la “ricompensa non contingente” può aiutare, magari coadiuvata dall’attività con il conduttore, molti problemi di Fido sono dettati più dalla noia che dalla voglia di ribellione.
La “ricompensa contingente” è un buon sistema se vogliamo ottenere un certo comportamento o performance: se vogliamo insegnare al cane a dare la zampa, la “ricompensa contingente” funziona.

In generale, dobbiamo ricordarci che il cane vede in noi un esempio, una guida, la cosa migliore è farlo partecipe della nostra vita, o possiamo entrare noi nella sua in qualche attività cinofila più o meno sportiva specifica.

Dobbiamo solo ricordarci che questi  modelli sono solo strumenti e come tali funzionano solo se si usano con conoscenza e intelligenza.

Con fiducia, rispetto e collaborazione.

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mercoledì 23 settembre 2015

La passeggiata con il cane: guinzaglio flessibile sì o no?

Il guinzaglio flessibile, comunemente detto “Flexi” dal nome dell’azienda che lo ha inventato, è uno strumento molto dibattuto al punto, come vedremo, di spingere il legislatore a regolamentarne l’uso.

E’ inutile però parlare di uno strumento senza prima chiarire in quale situazione può essere utilizzato. 


Non esiste una “passeggiata col cane” generica, ce ne sono di due tipi:

Attività “umane” col cane al seguito
  • quando si è in giro a fare la spesa, shopping o commissioni varie
  • quando si fa esercizio fisico, sport, col cane
  • quando si fa turismo col cane

Attività “per il cane” con umano al seguito
  • quando si porta il cane a fare la “sua” passeggiata

Un’ulteriore importante differenza si ha riguardo al luogo dove si passeggia con il cane:

Ambiente urbano o aperto al pubblico
Campagna, montagna, prati...

La legislazione in proposito è chiara: in ambienti urbani o aperti al pubblico il cane dev’essere tenuto al guinzaglio, il guinzaglio dev’essere di 1,5 metri massimo e non è consentito l’uso di guinzagli flessibili. 
Ed è anche ovvio il perché: un cane con un guinzaglio di più di 1,5 metri può tranquillamente andare in mezzo a una strada, essere investito e provocare incidenti. 

Quindi, se si è in giro a fare shopping o commissioni varie, stiamo visitando una città, e vogliamo giustamente farlo in compagnia di Fido, un guinzaglio di 1,5 metri è la cosa migliore, nonché quella consentita dalla legge ;)

E’ importante che il cane si abitui a questo tipo di “passeggiata”, dove non sempre è possibile fermarsi per annusare, fare amicizia con quella graziosa cagnolina al di là della strada o assaggiare quel meraviglioso gelato caduto in terra. Questa non è la “passeggiata per il cane”, è un’attività della famiglia (branco) a cui il cane si deve adeguare, e dev’essere pertanto educato a questa attività.

Se facciamo esercizio fisico col cane (camminata, corsa, roller…) in città o in un parco, vale la legge sopra detta: guinzaglio di 1,5 metri. Comunque, se corriamo col cane, il guinzaglio flessibile è molto scomodo, pesante e pericoloso: il cane potrebbe attraversarci la strada con esiti disastrosi per lui e per noi stessi. Se si fa cani-cross, il discorso è diverso: ci sono speciali imbragature e guinzagli da legare in vita. Per info: Il progetto Cani-Cross

Se si ha la fortuna di abitare in campagna, il discorso potrebbe essere diverso. Dico potrebbe perché la dicitura “luoghi aperti al pubblico” lascia spazio a interpretazioni: un bosco, o una montagna, è un “luogo aperto al pubblico”?
Attenzione che molto spesso la legislazione locale si sovrappone a quella generale, e ci possono essere normative diverse e specifiche per luoghi o periodi dell’anno: stagione venatoria, turistica…

Diciamo che siamo fortunati, e ci capita di passeggiare in campagna, in un posto dove vige una certa tolleranza, e che quindi potete usare un guinzaglio flessibile o comunque più lungo di 1,5 metri.

Se siamo in giro per far fare la passeggiata al nostro cane, allora è giusto fermarsi e lasciarlo annusare, rincorrere le farfalle, fare amicizia con altri cani lungo il percorso e così via. In questo caso il guinzaglio flessibile può essere un ottimo strumento.

Sia chiaro: non è uno strumento per “pigri”, non dev’essere usato stando fermi con il cane che ci gira intorno; l’estensibilità del guinzaglio permette di avere una certa “latenza” fra lo scatto o il cambio direzione del cane e la nostra reazione. In questo modo possiamo seguire il cane in modo rilassato, senza strappi.

E' anche importante che il cane sia già educato ai comandi fondamentali quali "no", "fermo", "seduto", "Torna qui"; quando il cane è a 5 metri di distanza, e magari non possiamo raggiungerlo (fosso, cancello, siepe...), non è facile gestirlo.

Un’avvertenza: l’impugnatura del flexi non è il massimo della sicurezza, se il cane pesa più di 1/3 del peso del conduttore, potrebbe strappargli via dalle mani il guinzaglio se decide di correre ad inseguire un coniglio. Il guinzaglio fisso permette l’uso di entrambe le mani e, se usato bene, è molto più difficile che il cane possa strapparlo via e pertanto più sicuro.

Uno potrebbe chiedersi se in campagna, magari la mattina presto, non sia meglio addirittura lasciare libero il cane di correre dove vuole. In effetti sarebbe la cosa ideale, per noi e per il cane, se le condizioni normative lo permettono e se, e soltanto se, siamo sicuri che al vostro richiamo Fido tornerà da noi scodinzolando felice :)

Ricordiamoci sempre che il guinzaglio è sempre e soltanto un pezzo di corda, più o meno lungo, più o meno colorato. Quello che conta è il rapporto di fiducia e rispetto fra noi e il nostro cane.

Con fiducia, rispetto e collaborazione.

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mercoledì 16 settembre 2015

Gli studi scientifici sul collare per il cane: il Sole ruota intorno alla Terra, quindi?

Sembra che la grande questione se sia meglio il collare o la pettorina per il cane sia, nel 2015, ancora aperta; i grandi detrattori del collare si sbizzarriscano a parlare di “studi scientifici” che provano danni al cane provocati da questo strumento.


Come varie volte ho umilmente fatto notare, di questi “studi scientifici”, sembra non esservi traccia; l’unico studio è forse quello di Anders Hallgren (su 400 cani, non proprio un grande studio), che conclude con “non c'era correlazione fra collare a strozzo e problemi di schiena”, ma eventualmente ci sono problemi con i cani tenuti alla catena, e direi che qui siamo tutti d’accordo, no?

Vedi a questo proposito: La grande menzogna sul collare a strozzo

Si può fare divulgazione scientifica in due modi:

Descrivendo uno studio che si è fatto in base a un metodo scientifico, un’analisi statistica dei dati, effettuando test in doppio cieco per evitare eventuali Bias,  e altri strumenti tipici della Scienza

Oppure:

Illustrando in modo più discorsivo i risultati di uno studio condotto da altri, in modo che anche chi non ha un background scientifico possa comunque capire di cosa si sta parlando.
Ci sono naturalmente delle persone che sanno fare entrambe le cose come Albert Einstein e Stephen Hawking, giusto per fare un paio di esempi noti.

Se si vuole usare il secondo metodo, e non si è Einsein o Hawking, è buona norma, per non prendere in giro il lettore, inserire i riferimenti dello studio di cui si parla in modo che sia possibile consultare i dati originali e verificare se nel processo di divulgazione vi è stata qualche deformazione dei dati stessi o se le conclusioni possono essere arbitrarie e in ultima analisi, sbagliate.

Quindi, tornando alla questione se il collare sia dannoso o meno per il cane, se si afferma che “studi scientifici” proverebbero danni al cane, il minimo che si può fare è citare gli studi suddetti in modo che tutti possano verificare la verità di quanto si dice.
Questo, almeno, se si è in buona fede, altrimenti potrebbe sembrare che ci approfitti di chi non ha gli strumenti per fare ricerche e verificare in altro modo.

Personalmente, non ho mai visto uno studio che comprovasse eventuali danni provocati dal collare; se ne siete a conoscenza, vi prego di inviarmi i riferimenti in modo che possa verificare.
Ho invece visto centinaia di cani vivere una vita felice in famiglia grazie all'addestramento classico che, fra molti altri strumenti, usa anche il collare.

Mentre la pettorina è nata per permettere al cane di trainare, tirare qualcosa (slitte, carretti...), il collare è da sempre un modo efficiente per comunicare col cane. Chi pensa d'altra parte che il collare serva per "costringere" il cane a fare qualcosa che non vuole, evidentemente non ha ancora capito che non si può costringere un cane a fare quello che non vuole; può farlo una volta perché vi vuole bene o perché ha paura di voi, ma alla fine non otterrete nessun buon risultato e, probabilmente, vi morderà ;)

Se siete comunque disposti a credere a tutto quello che c’è su Internet, sui giornali o, meglio ancora, in televisione, e non andate a verificare se quello che si dice è vero o falso, vi segnalo due filmati che possono arricchire la vostra visione:

“Il miracoloso sale del Mar Morto” - Wanna Marchi

“Il Sole gira intorno alla Terra” - Bandar al-Khaibari

Con fiducia, rispetto e collaborazione.

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